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IL GIARDINO DEL CEDRO DI GOA
 

                                                                                                  Cavallo d’argento

 

 

Seduto sul monte Pisciavino

guardo lontano la tempesta sul mare

d’onde spumeggianti fino all’orizzonte.

Al riparo, protetto dal muro e dal pino

di luoghi lontani comincio a sognare

dall’onde frustati e accarezzati

di quanti paesi hanno conosciuto,

di quanto hanno veduto di risi e di pianti.

 

 

Cavallo d’argento che corri su prati di mare

raccontami lontane isole cosparse di fiori

rossi di sangue, gialli di sole,

profumati di tramonto, limpidi d’aurora.

Isole vestite d’erbe grandi come eucalipti

che timidi ventagli di farfalle

agitano con venti notturni di stelle,

isole nascoste da brume pudiche.

 

Onda d’argento che galoppi nelle tempeste

raccontami il sole veduto a mezzanotte

su bianche banchise trasparenti

E le aurore boreali effimere, fatate, che inonda

il pianto musicale della balena arpionata.

Raccontami giochi innocenti di giovani foche

e la candida pelliccia dell’orso, nascosta

nella notte senza fine dell’inverno.

 

Cavallo d’argento che pasci su prati di gocce

raccontami alghe brune su mari lontani

e azzurri gabbiani che lisciano l’onde

o pesci volanti che fuggono in cielo.

Racconta la titubante farfalla, il fragile uccellino

trovati in mezzo al mare, provenienti dal nulla

per consolarti un attimo e ripartiti nel nulla;

raccontami visioni fugaci di calamari giganti.

 

Onda d’argento che salti siepi di rocce,

raccontami antiche navi che arano il mare

spinte da remi possenti e tenaci

da grandi vele gonfiate dai venti

raccontami capitani feroci, marinai pazienti

e lo sguardo triste di Horus e di Ankh

che ornava i mattoni d’acacia profumata

delle navi panciute dei popoli d’Egitto.

 

 

 

Cavallo di luce che trotti su sprazzi di luna

raccontami i mille normanni del drakkar di Knud

e i sette tronchi del kola maram che scorre veloce

sull’onde inseguendo il pesce volante.

Raccontami tartane, feluche, venete rascone

e la grazia elegante del vinco genovese

il fuoco mortale dei cento cannoni

di ferro e di bronzo del sovrano dei mari.

 

Cavallo di luce che galoppi nell’uragano

dimmi del fulmine accecante che incendia la notte

e l’assordante tuono che l’insegue;

raccontami la bonaccia che trattiene il marinaio

fino allo scompiglio che infuria le mandrie marine

e la tromba di mare che ondeggia graziosa

e avvolge nel cielo vorticoso della morte

la mistica paura dell’equipaggio sgomento.

 

Onda screziata che pasci su prati di luce

raccontami preghiere silenti di naufragati

arsi dal sale, bruciati dal sole

e vane speranze da nero fumo nate, da bianche vele

morte nella nebbia, morte nella notte,

morte nella fame, morte nella morte.

Raccontami anche l’uomo rubato alla sorte

salvato dopo la fine di ogni speranza

 

Onda d’azzurro che salti tra muri di corallo

dimmi le sofferenze atroci dell’ebano vivente

divenuto schiavo di un altro continente

e le fatiche assurde del misero galeotto

stremato dal remo pesante, ritmato

dal morso tagliente della frusta.

Raccontami il tuffo fatale del marinaio

che insozza di rosso la tolda lustrata.

 

Dimmi le fatiche notturne del pescatore

e la disperazione del banco di pesce

racchiuso nella rete inesorabile

e del delfino che sfonda la rete

del banco di pesce liberato che fugge

Sotto gli occhi attoniti del pescatore disperato.

 

Seduto sul monte Pisciavino

guardo lontano la tempesta in mare

ma ormai è tardi non c’è più tempo di fantasticare

 

                                                                                                    in fondo...

 

 

 

In fondo, nella vita, non ci sono molte cose veramente importanti,

a parte mangiare,

magari un panino imbottito di salame con vino nostrano

nell’osteria lungo il fiume dei nostri vent’anni,

magari gamberi alla griglia con vino bianco affumicato,

magari olive nere,

magari te.

 

In fondo, nella vita, non ci sono molte cose veramente importanti,

a parte bere,

magari fino all’ebbrezza,

magari solo acqua stagna.

 

In fondo nella vita non ci sono molte cose veramente importanti,

a parte dormire, a parte sognare,

a parte correre, camminare, lavorare,

a parte star seduti sulla spiaggia ancora tiepida

a guardare il tramonto del sole,

a parte sussurrare parole dolci ascoltando il mormorio del ruscello,

a parte fare l’amore in un letto a baldacchino su coperte di visone

falso e bello come visone, dolce come visone, senza uccidere nessun visone,

a parte cantare, a parte urlare,

a parte discutere di argomenti interessanti con un amico paziente,

a parte piangere, ridere, farla in un campo fiorito,

a parte spiare il volo dell’anatra all’aurora passeggiando con il tuo amore.

 

In realtà, nella vita non ci sono molte cose veramente importanti

tranne studiare,

per curiosità, per divertimento, per sapere.

tranne imparare per conoscere e conoscere per capire,

capire per accettare, ammettere, tollerare e perdonare,

capire anche per rifiutare, stigmatizzare o condannare,

capire per amare,

amare qualcuno da qualche parte

essere amato da qualcuno e saperlo

amare chi hai scelto e poterglielo dire

amarne tanti e poterlo urlare.

 

In fondo, nella vita, non ci sono molte cose veramente importanti

a parte sognare a colori

soffrire un poco perché la gioia abbia un senso

godere, saltare sulle nubi, correre tra le stelle,

respirare il profumo dell’erba appena tagliata,

svegliarsi all’ora del cuculo e coricarsi, per non dormire

in un letto grande come un prato,

a parte passeggiare in autunno sotto le fronde fulve dei sicomori

e bere acqua sorgiva, cogliere fragole di bosco

e cercare funghi o mirtilli,

a parte giocare con un bambino

e guardarlo per ore

dormire.

 

In realtà nella vita non ci sono molte cose veramente importanti.

Tranne l’amicizia vera,

la poesia vissuta,

la felicità effimera,

l’arte che fa scoprire,

la musica che affascina,

la danza che libera,

la tristezza che fa riflettere

e la melanconia che fa sognare.

Tranne la vista di un cane randagio ben rimpinzato,

di due adolescenti avvinghiati nel chiaro di luna,

tranne il fuoco profumato del camino,

tranne il mandorlo in fiore

tranne la fragranza della vite

ed il profumo del tuo corpo,

tranne lo scintillio delle tue lacrime e l’umidità salata delle mie.

 

In realtà nella vita non ci sono molte cose veramente importanti,

eccetto te, eccetto voi,

eccetto me,

eccetto la donnola graziosa e crudele,

eccetto la fulva aromatica viola a ciuffo

eccetto l’orchidea tumida, splendente e l’ape garrula dorata

ed il nettare che vorrei essere per andare d’una all’altra

ed essere in tutte e due...

 

In realtà, nella vita, non ci sono molte cose veramente molto importanti

 

Eccetto la paura, domata, che dà il coraggio di guardare

Eccetto la lucidità, conquistata, che dà la forza di agire

Eccetto la potenza, trascurata, che dà la pace al cuore

eccetto l’amore, che respinge la rilassatezza

Eccetto la morte, che permette il riposo.

 

In realtà , nella vita, non ci sono molte cose veramente importanti

A parte esistere, a parte fare, a parte dire

A parte creare per comunicare ed ancora esistere

Esistere fin che arriva la fine.

A parte ricordare, raccontare, consigliare o tacere,

invecchiare per essere pieno di rughe e capire infine

che ogni esistenza è una felicità, una disperazione

una speranza, un’opera, un sogno.

Invecchiare per morire,

per sfuggire all’eternità monotona,

per sfuggire all’immortalità insopportabile.

In realtà nono ci sono molte cose veramente importanti, nella vita

A parte morire.

Di morire ognuno lo fa per sé

E ci vuole una vita per preparare una morte tranquilla.

 

In realtà, nella vita, non ci sono molte cose veramente importanti

A parte una morte tranquilla…

Ed un bacio sulla tua fronte serena,

ed un bacio sulle tue dita affusolate

ed un bacio sulle tue labbra dolci

ed un bacio sul tuo seno candido

ed un bacio sul tuo ventre tiepido

ed un bacio sulle tue cosce vellutate

ed un bacio sul tuo clitoride esigente

ed un bacio sul tuo cuore spossato

ed un bacio….

…..Un bacio d’amore.

 

                                                                                                       la giostra

 

 

Sono solo sulla giostra dei miei pensieri, che non finisce mai di girare,

ma che resta sempre lì, piantata nel bel mezzo della piazza,

e sulla piazza non c’è più nessuno, sulla giostra neppure.

 

Sono solo, e giro sul cerchio senza fine di questa maledetta giostra che non si ferma mai.

La musica troppo forte stordisce le mie orecchie con le sue canzoni troppo nuove.

Annebbia il mio cervello.

I cavallini di legno sono fuggiti o sono morti sostituiti via via dall’auto, dal razzo, dal disco volante: delusioni della mia generazione.

I sogni si sono trasformati in incubi e mi accompagnano in questo stupido giro che non va da nessuna parte.

Una volta intorno alla piazza c’era un villaggio:

dove sono ora gli occhi curiosi della morale che ci spiavano dalle persiane socchiuse ?

Il vecchio motore asmatico s’è fermato anche lui.

Adesso è la fata elettricità che fa girare il motore della giostra e che illumina la piazza

vuota e livida.

 

Ma perché non si ferma mai questa stupida giostra?

Se almeno potessi dormire!

Le lampadine, appese sotto le falde del tetto assomigliano a stelle obese :

queste nuove ricche volgari della luce accecano i miei occhi

coi lampi tristi delle loro trenta candele.

Girano, girano, senza tregua impiccate al tetto multicolore di questa inutile giostra,

ed i pensieri le inseguono incatenati uno all’altro,

prigionieri , stanchi , lenti , incerti e disperati.

Girano in tondo, come nel cortile di una prigione

come questa giostra che non vuole fermarsi.

Uccidono i miei ricordi, disperdono i miei progetti

questi maledetti pensieri che mi fanno capire!

Forse è questo il peccato originale:

Capire!

Ma così poco,

 

così poco.

                                                                                                       Tasmania

                                                                                       L’ULTIMO DEGLI ABORIGENI

 

Sono il mio popolo,

 

ma il mio popolo è morto:

era buontempone, era faceto

era strano ed indolente

e povero e violento

e allegro o infelice.

Sono il mio popolo

Ma il mio popolo è morto

Allora sono grosso

e grasso e triste

e sorridente e molle

Ed io

io

sbronzo e ubriaco

mi chiedo:

perché sono ancora qui?

                                                                                                   post mortem

 

 

 

Porto tra le tempie quel libro che non ho mai aperto

E che diceva tutto.

Quel libro che non ho mai aperto perché diceva tutto.

 

Squilla trombettiere del silenzio spazioso: di suono languido, durevole.

 

La preghiera grave, rapida, prepara la tromba alata

Senza volo.

Campanacci di gregge d’ombre fuggenti

dolce dondolio di preghiera polifonica,

braccia nude scoperte di arancione,

teste calve, coperte di velluto.

 

E sul bianco della montagna il serpente d’ombra di mani giunte

nella morte provvisoria della coscienza. Profonde valli piene di luce

che accecano nella vita, illuminano nella morte.

Alberi ossequiosi lungo il cammino della pietra squadrata

strappata dalla via grave della preghiera sincopata.

 

Cranio lucido di morto vivente

Parasole girevole di ossequioso rispetto, barbaro mistero, morte mimata:

l’ora della morte illuminata dalla luce del reale imitato

risuona nel coro possente dell’acqua del torrente

perle di gioia, perle di pianto nel bianco vestito di suono

del ginnasta danzante su terra schiumosa.

 

Freddo di fuoco, danza di vermi su corpo imbiancato

Spruzzi di fuoco nel vortice vuoto, nella coppa di roccia infuocata

E gli applausi, ritrovati nel canto, agitano il vento rovente della danza

Coscienza immortale di corpo inondato da luce immatura.

 

Saggezza dell’uguaglianza nell’egoismo contenuto

Colore significato della volontà di saggezza

Gelosia respinta del figlio sfuggito

Vento di liberazione

Ricordo di perfezione mai raggiunta, mai ritrovata, mai perduta

Figlio morto come tutti senza corpo immutato.

 

Rivivo nel cerchio senza visioni dell’uomo salvato

Dal desiderio ardente di sorte incantata

Così desiderata nel sogno slavato di angeli terrestri dalle teste alate.

Il sorriso è nascosto dal manto fatato della mano,

gira la bocca sul fuso di lingue tese su mani tese verso mani tese.

Girano macine di voci che ritmano il canto

 

Il corpo che hai perso lo hai ritrovato, la morte te lo ha dato,

feto tremante giacente nel buio, genio senza colpa, stolto senza merito

carne senza mistero se non nell’ignoranza.

Lunghi bastoni battono il tamburo

Pifferi piangenti leggono litanie antiche su fogli lunghi, squadrati.

Cervello leccato, sangue bevuto, corpo immutato ardono

nel canto monotono che il coro ripete col pianto

per il corpo incapace di morire di morte inventata.

L’intelligenza che vola nel vento dell’eterno indescrivibile

è guida incompresa che a nulla conduce che non sia rinascenza

di anime fugaci cristallizzate nella litania stralunata del suono

libero di desiderio e di rifiuto imparziale.

 

Caschi di luce tremolante avanzano nella teoria di fuoco dei ciottoli

imitando inchini rumorosi di ciottoli levigati.

Il bastone è scagliato sul libro bianco, senza parole.

Nero bastone che s’imprime nell’aria rarefatta del colle montano

sotto lo sguardo di rocce stupite dai piedi pesanti dai corpi piegati

Gli inchini profondi sull’altare cerimoniale porgono offerte

al vento che incendia il fuoco purificatore ed io

uomo imbiancato di cenere spenta

Ricordo di nuovo il ritmo del cuore vivente.

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